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REVISIONE ARTICOLO 1.0

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Poster Superman The Movie
ALEXANDER E ILYA SALKIND

FRANK PHILLIPS

The Black Hole - la USS CYGNUS

FRANK PHILLIPS
E “THE BLACK HOLE - IL BUCO NERO”

di The Dreaming Man (Redazione)

Nel 1979 arriva sugli schermi degli americani The black Hole - Il buco nero, un'avventura spaziale targata Disney da 20 milioni di dollari, una delle pellicole più ambiziose dell’allora storia della Walt Disney Production. Cerchiamo di capire come furono realizzati gli effetti del film, in considerazione del lavoro svolto dal direttore della fotografia Frank Phillips.


DIZIONARIO:
bluescreen, compositing, mascherino, miniatura, rear projection, rotoscoping, schermo blu, stampante ottica, tecnica del sodio



Frank Phillips è stato scelto dalla produzione per le sue capacità e doti di direttore della fotografica. È entrato nel mondo del cinema da giovanissimo occupandosi di caricare le “pizze” [le bobine] sulle cineprese. 

Nella sua carriera ha lavorato con i grandi nomi della Hollywood degli ani ’40 e ’50 fino a quando non ha scelto la strada della direzione della fotografia perfezionandosi e arrivando alla Disney dove ha lavorato per più di venti film tra cui Un computer con le scarpe da tennis (1969), Pomi d’ottone e manici di scopa (1971), Herbie il maggiolino sempre più matto (1974), Incredibile viaggio verso l’ignoto (1975), Elliott, il drago invisibile (1977) e Ritorno dall’ignoto (1978). Quest’ultime, con la presenza di una buona dose di effetti speciali.

Quando fu chiamato per The Black Hole -Il buco nero, Phillips sapeva che avrebbe dovuto superare delle sfide ben più grandi di lui, dal momento che il nuovo film della Disney tentativa di aprire un nuovo percorso produttivo allontanandosi dalle creazioni “per bambini” per entrare in quello già tracciato dapprima da 2001: Odissea nello spazio (1968) e poi da Guerre Stellari (1977).

Le sfide furono essenzialmente 5:

1) Dosare gli effetti sul set;

2) Ricreare l’assenza di peso e cavi;

3) Realizzare gli ologrammi senza computer;

4) Usare il blu screen;

5) Laser e animazione


  • DOSARE GLI EFFETTI SUL SET


Uno dei problemi maggiori fu quello di integrare gli effetti che si realizzavano sul set con quelli che poi si sarebbero finalizzati in post-produzione. In pratica Phillips realizzava i suoi effetti dal vivo per poi fare in modo che combaciassero con quelli realizzati successivamente. Se, ad esempio, doveva esserci un’esplosione che sarebbe stata realizzata successivamente e composta con le riprese live di Phillips, i bagliori dell’esplosione che illuminavano il set dovevano avere la stessa intensità e colorazione di quelli poi realizzati in post-produzione. Il problema principale era dunque saper dosare la giusta intensità di luci e bagliori per fare in modo che il tutto fosse quanto più omogeneo. Eppure le difficoltà esistevano lo stesso.


«Anche se avevamo dei rendering che ci davano un’idea di ciò che era necessario, a volte i colori degli effetti non erano forti come erano i nostri. Occupavamo molto tempo per realizzare i nostri effetti sperando di arrivare in pari con loro [quelli della post-produzione]. Per esempio c'era una scena in cui un'astronave esplodeva davanti a delle persone in piedi. L’esplosione è stata girata davanti a uno schermo blu, con una miniatura dell'astronave che esplode per essere poi aggiunta in compositing. Ho cercato di simulare l'effetto della luce del postbruciatore sui volti e sui corpi delle persone al passaggio dell'astronave, allora inesistente, ma non c'era modo di sapere quanta luce del postbruciatore sarebbe uscita dalla miniatura. Quando finalmente realizzarono il loro effetto con il modellino, si scoprì che io avevo realizzato un effetto maggiore di quanto volessero. Avevano ormai deciso che, invece di una luce lampeggiante, volevano più una fiamma blu fissa. Questa è stata la parte più difficile: sapere fino a che punto potersi spingere».


Nelle foto in basso, viene mostrato il momento in cui una tempesta di meteoriti colpisce l’astronave. Una di queste irrompe al suo interno. I protagonisti stanno fuggendo attraverso una passaggio rialzato e improvvisamente cadono. Il personaggio del Dr. Kate McCrae si trova sul ponteggio (seduta a destra nella foto grande) e mostra una schiena illuminata di colore rosso. L’illuminazione dovrebbe però arrivare dal davanti e non da dietro in quanto l’intruso si trova frontalmente ai personaggi e quindi dovrebbe illuminare solo la loro parte frontale. Correttamente, l’uomo posto al centro (seduto a terra), è inondato di luce rossa, ma solo sul bordo superiore delle sue gambe che presupporrebbe, se non altro, una luce che dalla meteora rossa arriva di rimbalzo sul suo corpo dall’alto. L’uomo a sinistra (il primo in piedi) ha invece una corretta illuminazione perché presenta solo dei leggeri aloni di colore rosso all’interno della coscia sinistra. Questo dimostra quanti problemi dovette risolvere Philipps tentando di immaginare un effetto che veniva poi realizzato successivamente.

NELL’IMMAGINE GRANDE I PROTAGONISTI COSÌ COME SI VEDONO NEL FILM. NEL RIQUADRO LA LAVORAZIONE DELLA SCENA IN STUDIO

▪ L’ASSENZA DI PESO E l’USO DI CAVI


Quando si decide di girare un film ambientato nello spazio, di sicuro uno dei primi effetti da mettere in preparazione è quello dell’assenza di peso. Per tutti quei film girati prima dell’avvento del digitale, spesso e volentieri le fasi di volo degli occupanti dei veicoli spaziali  avveniva attaccando l’attore a dei cavi e sospenderlo nel vuoto. Philipps ha dovuto affrontare questa problematica durante le riprese di The Black Hole - Il buco nero soprattutto nella prima parte del film in cui tutti erano a gravità zero, quindi appesi a bilancieri cavi o in equilibrio su che restituissero l’illusione del galleggiamento. A volte c'era un'intera folla di personaggi, sia di attori che di robot , che correvano verso un'entrata o un'uscita, e la troupe correva  insieme a loro per far galleggiare tutti. 

Sono stati utilizzati vari stratagemmi affinché i cavi non si vedessero. Innanzitutto, dove possibile, questi sono stati pitturati dello stesso colore dello sfondo. Nelle situazioni più scure, venivano dipinti di vernice nera opaca in modo che non riflettessero nessuna luce. In quelle più chiare si poteva scegliere di dipingerli di bianco e poi illuminare il tutto affinché non ci fossero delle ombre.

In altre situazioni è stato scelto l’uso di agganci posti dietro agli attori o ai robot, in modo che il loro stesso corpo nascondesse il trucco facendoli apparire come se lievitassero. Spesso si faceva uso, invece, di pedane che trovandosi al di fuori dell’inquadratura, e quindi nascoste agli occhi dello spettatore, spingevano gli attori verso l’alto o li muovevano lateralmente simulando così la gravità zero.

UN ESEMPIO TRATTO DAL FILM SULL’USO DI PIATTAFORME MOBILI

IL ROBOT V.I.N. CENT  “LIEVITA” GRAZIE A UN SOSTEGNO (NON INQUADRATO)  MENTRE UNO DEI TECNICI  LO MUOVE  PER RENDERLO PIÙ CREDIBILE

▪ OLOGRAMMI SENZA COMPUTER


Un’altra sfida non da poco è stata quella di realizzare gli ologrammi che si vedono sulla nave. Al giorno d’oggi sarebbero semplici da realizzare grazie all’uso del computer, ma al tempo del film della Disney non lo era affatto. Philipps ha però trovato delle soluzioni “pratiche” per realizzare questo effetto.


«Di solito, effetti di questo tipo si creano con l’suo della stampante ottica. Si riprende una scena con gli attori che guardano da una parte, verso la zona in cui dovrebbe esserci l’ologramma. Poi si gira una scena con l’ologramma stesso realizzato con un’animazione o qualche altra tecnica. Infine con la stampante ottica si assembla il tutto unendo la scena con gli attori e quella in cui c’è l’ologramma. Noi abbiamo invece realizzato l’effetto con la rear projection su una lastra di vetro posta davanti alla cinepresa. L’approccio di base non era nuovo, ma abbiamo dovuto trovare delle soluzione per fare in modo che la proiezione non finisse sulle spalle degli attori o ci fossero dei problemi con i movimenti di macchina». 


In pratica Phillips ha usato una lastra di vetro che ha messo davanti alla cinepresa e vi ha proiettato l’ologramma. La trasparenza del vetro ha permesso di unire insieme sia il set con gli attori che l’ologramma riflesso, restituendo un’immagine finale già assemblata. Phillips ha dovuto però evitare che la proiezione dell’ologramma sul vetro finisse sulle spalle degli attori. 

Nello spazio fisico del film, l’ologramma è un oggetto fisico come tutti gli altri. Va da sé quindi che se un attore si trovasse tra la cinepresa e l’ologramma, questi dovrebbe di fatto coprire l’ologramma con il suo copro. Cosa che non poteva funzionare con la soluzione ideata da Phillips.


«La vera sfida è stata quella di togliere l’immagine dalla schiena degli attori mentre passano davanti all’ologramma. Di solito, questo verrebbe fatto con un mascherino, ma abbiamo invece ritagliato i personaggi quando questi passavano davanti all’ologramma,  in modo che l’immagine non rimanesse sulle loro spalle, grazie al lavoro fatto da Art Cruickshank e Eustace Lycett».


La tecnica a cui si riferisce Phillips è il rotoscoping

A DESTRA L’ILLUSTRAZIONE DELLA TECNICA USATA DA PHILLIPS /// A SINISTRA UNO DEI SUOI RISULTATI

IL RISULTATO DEL ROTOSCOPING DI UN ATTORE MENTRE PASSA DAVANTI ALL’OLOGRAMMA

▪ USARE IL BLU SCREEN


Per il film si è fatto un uso massiccio del bluescreen abbandonando così la tecnica del sodio sviluppata dalla Disney intorno agli anni ’60. Il bluescreen è stato usato da Philipps per separare i vari soggetto dallo sfondo e inserirli altrove.


«Ad esempio, nella scena quando la grande astronave viene trascinata nel buco nero, abbiamo simulato i colori rossi e verdi perché ci sembravano più appropriati per quella situazione. Il vapore usato nella scena ha acquisito una colorazione rossastra perfetta per lavorare con lo sfondo blu. Ho deciso di non usare la tecnica del sodio perché è meno flessibile del bluescreen. Innanzitutto lo schermo del bluescreen può essere molto grande e puoi riprenderlo dal basso o dall’alto senza problemi. Il sodio ha le sue limitazioni. Intanto serve una grandissima quanto di luce per illuminare lo sfondo trattato di sodio e poi devi riprenderlo solo verticalmente. Non è comodissimo da usare sebbene abbia dalla sua una perfetta resa».

A SINISTRA UNA FOTO DI SCENA (I CAVI DI SOSPENSIONE SONO STATI COLORATI DI BLU) /// A DESTRA LA SCENA FINALIZZATA

▪ LASER E ANIMAZIONE


Per l’utilizzo della armi tecnologiche del film si era pensato di utilizzare dei fasci di luce molto potenti, dei veri e propri laser che avrebbero sortito così l’effetto voluto. Tuttavia Philipps decise che sarebbero stati molto pericolosi per gli occhi degli attori e così si penso di realizzare il tutto in post produzione, grazie alle animazioni degli artisti della Disney.


«Abbiamo simulato i nostri raggi laser con qualcosa che assomiglia quasi alla realtà. I tecnici dell'animazione dei Disney Studios sono riusciti ad avvicinarsi così tanto alla realtà che è stato incredibile e, per certi versi, anche migliore».


Philipps si è occupato di rendere realistici i fasci laser che gli artisti Disney avrebbero creato, realizzando un’illuminazione di supporto per fare in modo che ogni elemento fosse influenzato dalla luce proveniente dai laser.


«Abbiamo utilizzato degli squib ad alta potenza [inneschi esplosivi] che utilizzavano una vera e propria polvere da sparo. Ne abbiamo usati molti e la luminosità era davvero notevole al punto che facevano un buco nella pellicola [cioè la bruciavano con presenza dunque di bianco]. Ne abbiamo fatto esplodere una serie, in modo da avere un grande bagliore e da poterli vedere fisicamente sullo schermo. Se a volte sembravano sovrastare l'illuminazione, era naturale per la situazione.».

Phillips ha realizzato una direzione della fotografia magistrale per The Black Hole - Il buco nero, un lavoro reso ancora più difficile dall’assenza del digitale e quindi doppiamente meritorio per la sua tecnica e preparazione.


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